
QUEL PRESEPE
QUEL PRESEPE
Il presepe della Chiesa di S. Anna a Potenza pare che quest’anno rappresenti il luogo della “discordia” tra cristiani, pseudocristiani ( che spesso si riscoprono tali in queste circostanze), cattolici e la minoranza religiosa che “pratica” nella nostra città, di recente sempre più multietnica. La cosa risulta alquanto paradossale se pensiamo al vero senso che la Sacra Famiglia ha rappresentato nel corso dei millenni e continua a rappresentare o “dovrebbe” nella coscienza religiosa (per chi la possiede, ovviamente) di ciascuno di noi. Il vero personaggio della natività tanto discussa è sicuramenteil burka indossato dalla Madonna contestato a gran voce dalla maggioranza degli osservatori della rappresentazione, con qualche timido apprezzamento da chi ha voluto appoggiare la scelta di Don Franco, parroco della Chiesa di S. Anna. Come la città abbia reagito al messaggio lanciato in occasione del recente Natale lascia come sempre il tempo che trova, pur non sottovalutando siail malumore generato, tanto meno gli sparuti coristi del trono dell’Altissimo, “rinato” non so più con quale fine specifico considerato che se ne sono aggiunti diversi e la missione si sia rimpinguata abbondantemente. I toni risultano sempre polemici, a volte offensivi e di rado obiettivi se un minimo di obiettività sia veramente possibile quando si affrontano temi che sforano i confini della morale e dell’etica per approdare alla religione, argomento tanto importante quanto pericoloso considerato gli eventi di fattura tragica che è capace di innescare. Ciò che probabilmente è interessante osservare, al fine di poter elaborare una personale considerazione che eviti qualsiasi commento sulla dissacrazione del messaggio, che a mio parere non va affatto contemplata perché assente, è l’ obiettivo di una rappresentazione di tale genere, che richiama ad una figura “diversa” da quella classica, quella che ci è stata trasferita sin da bambini e successivamente consolidata con i nostri primi approcci di catechesi. Una Madonna con il burka obiettivamente scardina diversi immaginari, da quelli che servono a “rassicurare” le coscienze singole e collettive, (per intenderci, il “look” non va toccato, al massimo cambiato a seconda dei momenti del percorso cristiano, tra Addolorate ed Immacolate) a quelli più ambiziosi che afferiscono a messaggi di “fratellanza globalizzata”, di “condivisione” oltre i colori della propria bandiera ad esempio, che comunque non siamo ancora disposti ad accettare e “digerire”. Personalmente, non mi stupisce una iniziativa del genere, conoscendo il parroco di S. Anna che è stata la mia chiesa fino ai 20 anni dove mi sono formata come cristiana e cattolica. Don Franco ha cercato da sempredi coniugare i valori della cristianità della Chiesa Cattolica con quelli presenti nelle problematiche del quotidiano facendone la mission della sua vita da apostolo di Cristo. Ha “accolto” moralmente e fisicamente senza distinguo tutti coloro avessero una necessità, un malessere, una problematica (tossicodipendenti, prostitute, ragazze madri, tra i tanti) quando circa 40 anni fa e oltre, una metodologia del genere non raccoglieva consenso nel rione e nella città sia da parte dei suoi “colleghi” né presso i parrocchiani, sfidando sia il titolare dell’allora chiesa, l indimenticabile Don Colucci, che spesso non condividendo appoggiava comunque il giovane prete. E devo anche dire che questo non è il primo presepe “sui generis” pensato e realizzato nella parrocchia di Rione Libertà. Il non essere meravigliata, tuttavia, non mi esonera da una considerazione che scevra da qualsiasi forma di polemica e giudizio mi conduce ad una riflessione che fa sintesi di ciò che viviamo quotidianamente in termini di valori sempre più di frequente attaccati e sottoposti (per chi vuole farlo) ad una analisi chirurgica. In una società in cerca di una identità che si è smarrita ormai da tempo e dove ognuno di noi si perde, si cerca. si riperde e si ricerca, a volte dimenticando i motivi e gli obiettivi di questo vagare, l’ ulteriore spostamento di alcuni fondamenti ritengo aggravi ulteriormente il disorientamento al quale siamo sottoposti. E mi spiego meglio. E’ palese che la confusione ormai dilagante nelle “gerarchie” di ogni ordine e grado ( e qui vi lascio liberi nel pensare a quella più confacente al vostro habitat sociale) rappresenti il disagio che ogni giorno ognuno di noi è costretto a subìre ma anche a generare sugli altri “coinquilini” di nostra madre terra. E questo in quanto parte non solo passiva ma anche attiva di un sistema diventato per certi aspetti una trappola che non lascia scampo e che ci spoglia di una parte di noi a poco a poco. Le donne sono in cerca di identità in una società che per riconoscerle si è dovuta inventare le “quote rosa”, per dirne una (ma ce ne sarebbero a iosa); gli uomini cercano il loro essere, forti di un ruolo che la storia gli ha conferito (non se lo sono di certo conquistato) ignorando che ruolo ed identità non sono affatto la medesima cosa ma, forti di una mansione l’identità l’ hanno abbandonata (tanto ai fini pratici non serve), rimettendosi alla sua ricerca se, perso il ruolo, improvvisamente richiamano all’essere un pò come Prometeo con il fuoco. Gli LGBT , giustamente, chiedono il riconoscimento della loro identità e di conseguenza dei diritti alla stregua di chiunque; le sottocategorie ( non per importanza ma solo perchè da ogni macro se ne dipartono molte altre) rincorrono e si rincorrono per trovare un riconoscimento alla propria esistenza in un bailamme che mai come in questa epoca raccoglie tutto e molto altro ancora. Perché, dunque, sostituire la Madre di Gesù Bambino con una donna che indossa il burka? Per sottolineare che Maria può essere rappresentata da una qualsiasi madre che genera suo figlio? Per indicare che non c’è razza, colore, nazionalità in quello che è il dono della maternità? Per suggerire che una donna con il burka può avere la stessa valenza di una donna dalla pelle nera, bianca o gialla? Per trasmettere un messaggio di “famiglia globalizzata” cercando nella donna con il viso coperto un esperanto che accomuni tutti gli uomini di buona volontà? Conferire alla maternità un valore che non abbia contorni e confini? Io personalmente e ribadisco personalmente credo che la Sacra Famiglia non debba essere toccata in quella che è la veste nella quale siamo avvezzi a identificarla. E non per una questione di clichè altrimenti non si riconosce o non ci fa riconoscere, ma proprio per il significato universale ed inequivocabile che porta con sé. Maria, in quanto madre del Salvatore, racchiude già in sé quelli che sono i concetti ai quali ci appelliamo, i concetti della Madre di tutti senza distinguo alcuno, della Madre misericordiosa che accoglie, che perdona, che abbraccia, che consola, che redarguisce (ma sulla figura e il significato di Maria ci sarebbe da scrivere all’infinito). Io non credo che alcun cristiano abbia mai pensato che potesse esserci una selezione nell’amore di una madre, o che potesse essere madre di alcuni e non di altri e per questo vestirla simbolicamente con un accessorio tipico di un’altra cultura. Tantomeno posso pensare che la fragilità o la sottomissione di una donna alla quale è vietato di mostrare il proprio volto possa essere riscattata dall’identificare una presenza e/o un ruolo così essenziale come quello della madre di Cristo. Sottolineare tende ad innescare differenze, così come avviene poi nel quotidiano. Sottolineare un disagio, una differenza, una mancanza è esattamente il modo attraverso il quale rimarcarla, renderla evidente ed acuire quelle selezioni che probabilmente non esisterebbero. E di situazioni del genere credo che la cronaca ne sia abbondantemente colma. Ovviamente, pensando a chi potrebbe obiettare che l ‘omissione di un problema lo neghi, direi che altra cosa è sostenere un disagio con gli strumenti di cui disponiamo affinché sia agevolato il portatore di un problema specifico. Piuttosto intorno al concetto di Sacra famiglia che si rinnova ogni 25 dicembre con la nascita del Bambin Gesù mi preoccuperei di aggregare senza differenze, senza selezioni di pelle, razza e colore, di sollecitare, anche attraverso simbolismi che fanno ormai parte della nostra vita, la globalizzazione di religione, politiche, ideali e culture, che continuano a mantenere inalterata la loro identità, trovando nel presepe un luogo comune in cui confrontarsi e crescere senza mescolanze ma nel rispetto comune della loro presenza sia fisica che morale. La natività dovrebbe rappresentare l’elemento neutro, tanto è sacro ed inviolabile il suo valore, nella quale ogni popolo trova una risposta a ciò che è e che rappresenta senza sentirsi “diverso” dall’altro. DI TERESA LETTIERI IL 28/12/2016