
QUANDO IL GIORNO E’ UNA ETERNITA’
QUANDO IL GIORNO E’ UNA ETERNITA’
Sono tornata a casa e ho preso quella maledetta carrozzella che avevo usato per la paralisi di mio nonno e che aveva poi fatto il giro di tutti i malati che inevitabilmente mi giravano intorno tra parenti, amici e sconosciuti. Ci sono salita sopra e ho provato a svolgere le mansioni normali che toccano ad ognuno di noi durante la propria giornata. Ho immaginato una immobilità parziale, ho eliminato l’uso delle gambe pensando di aiutarmi con le braccia, lunghe, di cui sono dotata. I risultati sono stati pessimi se non addirittura devastanti, dal cibarsi all’andare in bagno al vestirsi, nessuna cosa come è immaginabile è stata più o meno semplice. Ho voluto, allora, peggiorare il mio status e mi sono immobilizzata al letto. Per gradi ho eliminato tutte le funzioni degli arti, del tronco , della testa. Unicamente il mio respiro e gli occhi capaci di guardare solo il soffitto. Cinque minuti ti sembrano una vita. Un giorno è una eternità. Scandita da quel respiro che muta solo al cambiare di ciò che ti passa nella testa. E con gli occhi sbarrati al soffitto, notte e giorno, sul quale puoi solo immaginare, disegnare, rappresentare la rabbia verso quello che ti è accaduto, lo sconforto della solitudine, che non è l’assenza di chi inevitabilmente ti gira intorno per sostituirti in tutto e per tutto, meno che nei pensieri, la paura di soffocare perché da un momento all’altro sparisce anche quell’unico respiro che è tutto ciò che ti rimane della vita. Con il respiro mangi, dormi e fai pure l’amore. E’ l’unica cosa che non ti abbandona almeno fino a che Qualcuno non decida di portarti via pure quello. Che poi, se passi un mese, un anno, due, cinque, dieci anni, alla fine speri che senza farti troppo male quell’alito sottile finalmente decida di andarsene portandosi via anche te. Per non soffrire più, per sentirti finalmente libero da quel groviglio di macchine che, ad un certo punto, invadono la stanza che è diventata la tua placenta e che servono per “mantenerti in vita” . E certo, perché ad un certo punto, sempre quel respiro decide di mollare e pur avendotelo comunicato una notte, senza preavviso, ed averti strozzato facendoti diventare talmente cianotico da non riuscire a chiamare aiuto, in men che non si dica ti sei trovato con la gola squarciata ed un tubo ficcato che è andato a riprendere quel bastardo nell’oltretomba per farlo ritornare contro la sua volontà. E tu smadonni perché in fondo quella era la volta buona per mandare tutto e tutti al diavolo. A quello/a che ti cambia il catetere, che ti fa mangiare mentre ti pulisce perché ti sbrodoli e ti ricordi di quando lo faceva tuo nonno e ti faceva pure schifo, che ti lava ogni santo giorno mettendo le sue mani dappertutto quando tu non avresti mai concesso ad alcuno di poterlo fare. Che non capisce quando hai freddo o hai caldo e ti fai certe sudate, o senti solleticare la pianta del piede e non sai come dirle in che modo deve alleviare quel “fastidio”. A chi ami, essì, anche loro, che cercano di non farti mancare nulla e si presentano in comitiva per farti compagnia quando tu, in alcuni momenti non sopporti nemmeno te stesso. Quando poi il respiro scandisce una tregua, hai il tempo anche per un desiderio, perché l’ossigeno lenisce tutte le superfici pensanti e ti concede un sogno. Morire. Fatemi morire. Se potessi lo staccherei io quel respiratore del cazzo che non mi lascia morire. Che deve decidere quando, come e perché io debba stare in quel modo e per quanto tempo ancora. Perché per una vita ho sentito parlare di scelta, mi hanno fatto pure scegliere con una crocesu una schedina se alla mia morte volevo donare gli organi ancora efficienti, e ora che decido di scegliere non me lo permettete. Tutti sboroni e criticoni se non riuscivo a scegliere che lavoro fare, che vestito mettere, che vacanze fare, se diventare vegetariana o vegana, se sposarmi o meno, se studiare o cazzeggiare. E ora che voglio scegliere, perché sò che non voglio soffrire, che non voglio sentire più questo respiro di morte apparente, che non voglio vedere il giorno e la notte da un letto o il sole che mi invade mentre mi bucano le braccia per qualche terapia urgente, mi dite che non si può. Non si può. Perché non si può? Si. Giusto. L’etica. La bioetica. Il comitato di bioetica. La dignità. La salvaguardia dei diritti. Tutte cose interessanti. Ma io sto qui. E come me ci stanno altri ancora. Noi siamo attaccati a quel respiro ma non possiamo scegliere. Perché il respiro non si può interrompere con un click ed è giusto che sia cosi. Ma c’è qualche altra cosa giusta, oltre questa, per chi vuole morire? Quindi la morte è come la vita. Ci sono le regole per vivere e le regole per morire. No, ci sono le regole per farti morire come dicono loro. Come dice la legge…, però,….“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. (art. 32 della Costituzione). Sono scesa dal letto e richiuso la carrozzella. In fondo il modo più semplice per scegliere è “non scegliere”!
DI TERESA LETTIERI IL 16/02/2017