
PONTE SUL BASENTO, LE VOCI CONTRARIE
PONTE SUL BASENTO, LE VOCI CONTRARIE
Osservare piuttosto che guardare. Ascoltare piuttosto che sentire. Avete mai provato ad osservare ed ascoltare? Il limite della modernità è anche questo. Ridurre gran parte di ciò che accade nella nostra vita ad una mera successione di occasioni, situazioni ed accadimenti, perdendoci quella che è la vera essenza di momenti affatto scontati e banali. Se eleviamo un attimo questo discorso trasferendolo su livelli diversi, da quelli più strettamente personali agli avvenimenti della vita pubblica, ci rendiamo conto che il metodo è il medesimo e quanto più ci si allontana dall’ascolto e dalla osservazione, un esempio è l’ambito politico, tanto più i risultati delle scelte operate sul territorio si allontanano dai suoi fabbisogni. Politici e di conseguenza, amministratori e pianificatori che ignorano l’ambiente circostante possono solo generare fratture tra i vari attori che, diversamente, necessitano di un sistema coeso, collaborativo, interconnesso e soprattutto dialogante a vari livelli. Attualmente la logica, invece, corre ancora su binari molto lontani dai meccanismi che sono alla base della conoscenza fatta anche di ascolto e osservazione e nella gestione delle risorse territoriali è frequente riscontrare opere che non parlano con e al territorio, interagiscono poco con esso e gli utenti, a volte vengono isolate e sputate fuori come corpi estranei alla collettività pur in attesa che qualcosa accada. Eppure basterebbe ascoltarlo, questo territorio, ovunque esso sia e qualunque funzione svolga. Esempi eclatanti nella nostra città, tra i più recenti, spiccano senza chiamarli con il nome di battesimo, la Barca del Serpentone, ad esempio, un inutile mostro di cemento con tanto di paternità prestigiosa collocato per valorizzare e finito per deturpare un quartiere dove le criticità legate alla sua progettazione erano evidenti già su carta. Non contenti, dopo un’altra opera come lo snodo del Gallitello, tanto complessa quanto esagerata rispetto all’obiettivo predestinato (dimostratemi il contrario), il fiume che attraversa la città, sede di un ecosistema non proprio di poco conto se si pensa egoisticamente alla sola funzione ricreativa che con molta fatica ancora stenta a decollare, è diventato sede di un progetto faraonico, ormai alle battute finali (dicono maggio 2017, sarà vero?) che mi lascia piuttosto perplessa. E ritorniamo all’incipit iniziale. Mi chiedo se si sia osservato ed ascoltato un luogo del genere prima di poter formulare un qualsiasi ipotesi di utilizzo, riqualificazione, valorizzazione. Cominciamo dall’inizio.- Quando si progetta,mission ed obiettivi devono essere ben chiari, ma soprattutto devono esserlo in funzione del luogo, delle sue caratteristiche sociali, economiche e politiche; se poi parliamo di un ecosistema le conoscenze meritano altri approfondimenti e se c’è pure storia, non male tenerne conto. Nel nostro caso specifico, il fiume, lungo le cui sponde sono sorte nel tempo attività commerciali e direzionali che rendono l’area molto trafficata di giorno, è attraversato, almeno nella zona oggetto di riqualificazione, da due passaggi stradali che collegano i due versanti per agevolare il traffico locale ed un ponte di epoca romana relegato al solo passaggio pedonale. L’unica pressione antropica che insiste sul percorso fluviale, quindi, è legata alla funzione ricreativa che è stata associata negli ultimi anni, rappresentata da ciclisti, podisti e comunque amanti della natura che trovano in questa oasi cittadina un luogo in città dove trascorrere qualche ora in relax (che parolona!). Considerando il tipo di fruizione e nell’ottica di conservazione di un sito che, per le sue peculiarità botaniche, ornitologiche e storiche (tra le più manifeste) merita semplicemente una valorizzazione dell’esistente,personalmente avrei lavorato esattamente su questi temi e con quella logica. Migliorare quindi le piste, le modalità di accesso, consentire ai disabili e alle persone anziane una fruibilità più alla portata, aggiungere servizi tipici di aree votate a tali obiettivi e soprattutto manutenerle adeguatamente. L’opera attuata alla modica cifra di un milione di euro e qualche spicciolo per la sicurezza ha pensato di tagliare il fiume in un altro punto con un ponte in cemento (camuffato da materiale ecosostenibile), dove l ‘impalcato, anticipato da una rampa (evviva)si alza ad oltre 10 metri dalla superficie dell’acqua per accomodarsi sull’altra riva ad altezza strada. Domanda: 1.Qual è l’obiettivo di questo attraversamento, peraltro in un punto che non risponde ad alcun bisogno? Non voglio immaginare che serva a raggiungere più velocemente gli uffici che normalmente richiedono l ‘uso della vettura e non voglio immaginare che chi usa quel percorso per diletto senta il bisogno di accorciare la passeggiata? 2.Pur lodando l’attenta gestione del rischio, ovvero una presumibile ondata di piena, considerando il possibile ed unico uso del ponte (già decaduto per il motivo precedente, a mio giudizio) non si poteva ovviare con la chiusura dello stesso in caso di calamità naturale (nelle grandi città vengono puntualmente chiusi in caso di alert e mi pare che servano ad altro)? Ma chi volete che vada con una pioggia torrenziale in quella depressione! 3. Ammettendo il fabbisogno (proprio non mi riesce di immaginarlo) non si poteva pensare un semplice attraversamento sfruttando i principi dell’ingegneria naturalistica (esiste!) visto che il fiume non è il Mississippi, ha una larghezza di circa 5-6 metri e non serve al trasporto di merci ? Non ci si poteva far “orientare” dal ponte romano che comunque identifica quel luogo conferendogli carattere oltre che storicità, utilizzando materiali adeguati e in sintonia con l’ecosistema fluviale, senza l’ennesima gettata di cemento camuffata? Vi siete guardati intorno almeno una volta, osservando cosa e chi abita quel luogo dal punto di vista naturalistico, quali necessità possiede e quali sono i criteri da adottare? Avete mai sentito parlare di biodiversità, di paesaggio, di nidificazione, di corridoi ecologici. Sapete quanto quell’ecosistema sia vessato dalle attività che impattano e quanto contribuisca con le sue funzioni a ristabilire l’equilibrio con l’ambiente esterno in cui l’uomo è parte essenziale? Commettere l’errore di sentirsi autori e non ospiti di un sistema naturale, di poter manipolare senza tendere alla reciprocità che diventa essenziale in qualsiasi sistema relazionale rimane la grande presunzione dell’uomo che continua indifferente nelle sue azioni di disturbo, ignorando le normative e sperando di poter sottomettere tutto e tutti ai suoi bisogni.
La Natura ha strane leggi, ma lei, almeno le rispetta. (Leo Longanesi)
DI TERESA LETTIERI IL 11/04/2017