
L’INFANZIA NEGATA
L’INFANZIA NEGATA
In nome della religione si agisce in molti modi. In nome della politica anche. E religione e politica sono i due temi, convinzioni, credenze, attività, strumenti che continuano a veicolare la nostra vita, almeno quella pubblica a vari livelli, condizionandola nei modi di pensare e spesso anche nelle scelte. Ovviamente, e lo spero, dipendesse da noi probabilmente riusciremmo a dare una misura più umana ad entrambe, ma investiti da un carico di opinionismo spalmato tra social e asocial che crea competizioni tutt’altro che sane e divenuto ormai indispensabile, anche le dimensioni di quelli che dovrebbero essere percorsi commisurati al proprio sé per il valore civico e intimo rappresentato (e non solo sul piano personale), si adeguano assumendo connotati singolari. Oggi si è arrivati ad usare comunemente violenza in nome di una fede, che sia politica e religiosa e non bisogna pensare necessariamente a religioni diverse dalla nostra per sincerarcene. Accade anche da noi, paese civile! Nelle altre culture, invece, come quella musulmana pare che non si vada per il sottile, in termini di anime sacrificate al credo, tanto da ipotecare anche la vita di chi in giovane età di certo non pensa ad immolarsi per il suo Dio. O almeno credo. Che si auguri di morire ad un bambino musulmano per la propria patria è quasi naturale e si comincia sin da piccoli ad inculcare questo principio fondamentale così come si insegna l’alfabeto, in modo da non dimenticarsene e rispondere sempre e comunque quando il Paese lo chiede. Se fosse semplice come lo si racconta sarebbe anche un esempio da cui prendere spunto, intendo l’amore per la patria, in modo da insegnare a chi ne ha fatto uno spot elettorale o un semplice proclama durante le feste comandate che il valore dell’appartenenza non è rappresentato da un vessillo da esibire con gli occhi umidi dinanzi ai vari altari, ma un patrimonio da difendere per potersi innanzitutto riconoscere. Invece, i bambini musulmani vengono vestiti da militari e allevati secondo una logica precisa nonché presentati in vere e proprie convention dell’orrore (diversamente non saprei definirle) per testimoniare una tradizione. “Ogni Turco è nato soldato” è lo slogan somministrato come le vitamine già nella culla, e se davvero fortunati, i virgulti incontrano pure il presidente di turno che chiede prontezza e spirito di sacrificio per il suo Paese. A sei anni, e a Dio piacendo, si augura ad una bambina candidata al martirio di poter essere avvolta nella bandiera che porta in tasca. Una bambina normale del terzo millennio, nonostante il lavaggio del cervello in nome di una fede che mischia la politica alla religione senza alcun pudore verso l’innocenza che l’infanzia racchiude a prescindere dal credo, risponderebbe a tono. Lei che non può farlo, piange. E piange di quelle lacrime che racchiudono non solo l’evidente paura ma anche la protesta di chi è obbligata da un ideale, difficile da far comprendere ad un bambino, a meno che non si adoperi un meccanismo costante e continuo come le tabelline, e che nulla ha a che vedere con l’amore per la patria. Dovrebbe saperlo il suo Presidente che la usa a fini politici giustificando la guerra con la religione. Allora mi chiedo che religione è quella che mette in conto sin dall’ infanzia un sacrificio, convertito in delirio se poi alleva giovani al suicidio per un ideale, nobile è vero, ma intriso di odio verso l’altro. Che capo di stato è quello che, avido di potere al punto di incutere terrore e non amore, usa una bambina per affermarsi, peraltro già atterrita ancor prima che venga fatta sfilare con una divisa militare davanti una folla esultante. Che fede è quella che non lascia i bambini liberi di giocare, di sorridere, di vestirsi come dovrebbe qualsiasi bambino. Che uomo è quello che ignora i diritti dell’infanzia per rivendicarsi al mondo intero; che uomo è quello che dinanzi alle lacrime di una bambina persevera nell’ esaltazione del sacrificio mentre dovrebbe, da leader, garantire tutto quello che gli sta chiedendo con quelle lacrime. Vivere da bambina!
