
LA PASSIONE CI SALVERA’
LA PASSIONE CI SALVERA’
Scoprire che esistono ragazzi di vent’anni che vivono tra le chiome degli alberi, per me, che sono agronoma è più che commovente. E lo scopro da un articolo di Concita De Gregorio, direttore dell’Unità, che raccoglie storie nella rubrica “InveceConcita – Il luogo delle vostre storie”. Un giovane Mowgli che ha imparato, grazie a suo padre (anche lui agronomo), prima ad arrampicarsi e poi a parlare e camminare, infilato nello zainetto ancora cucciolo come il piccolo uomo della giungla e a spasso per boschi. Oggi, Pietro Maroè, questo il suo nome, studia e si occupa di alberi, soprattutto i monumentali, senza disdegnare tutti quelli che ne hanno bisogno, di cure e di attenzioni. Lo fa da “arbonauta” attraverso il tree climbing e riunendo intorno ad un progetto, SuPerAlberi, diverse figure professionali, da arboricoltori a fotografi ad esperti di comunicazione. Se si consulta il sito, SuPerAlberi è raccontato come un viaggio ecosostenibile alla scoperta di giganti verdi del nostro territorio con il fine di studiare, misurare e curare gli alberi con le migliori tecniche di intervento diffondendo la cultura corretta in una sorta di viaggio–avventura e percorso didattico. Al di là del tema che mi appartiene in quanto cultrice per formazione professionale, la storia di Pietro mi ha dirottato immediatamente su un altro ambito altrettanto importante, qualunque cosa si decida di fare nella propria vita: la passione. Crescere con la passione, come concetto generale, veicolato poi a seconda delle preferenze del singolo, credo che rappresenti il punto di partenza verso qualsiasi obiettivo, che sia ameno o professionale. Da cosa nasce la passione? Tanto per cominciare dalla conoscenza e dall’osservazione di ciò che ci circonda, dal desiderio di scoprire, dalla curiosità di porsi delle domande e di rispondervi attraverso la sperimentazione oltre che con la comprensione di ciò che piace. E’ un processo probabilmente simile all’innamoramento e per molti ne ha le caratteristiche se pensiamo che si arriva ad essere gelosi delle proprie passioni, e come l’amore, che ha il suo primo fan proprio nella passione, può finire. E in questo, obiettivamente, nulla di male. Altre ne possono nascere sebbene io sia fermamente convinta che le vere passioni, possano sopirsi, ma mai terminare del tutto. Scoprire la passione di Pietro mi ha anche disarmata perché attualmente riconoscerle è davvero difficile, soprattutto quelle sostenute da un ideale, da un sentimento, da una emozione. Pensiamo alla politica. Quanti si nascondono dietro passioni giovanili esercitate attraverso militanze sul territorio documentate da una convegnistica tanto frequente quanto vuota e si scoprono meri comizianti devoti alla demagogia che nutre esclusivamente l’immagine svilendo la mission di tutt’altro intento? Questo ambito, come molti altri mossi da obiettivi che finalizzano la passione in servizio offerto alla collettività, ad esempio, ha perduto proprio il carattere di partecipazione e impegno che supera qualsiasi velleità di ritorno personale per ricondurla al sé in un circolo vizioso. Il meccanismo, tuttavia, appartiene alle involuzioni della società moderna dove il noi è stato soppiantato dall’io e dove la passione è stata relegata a quelle emozioni quasi preistoriche addomesticate dai bisogni dell’età contemporanea. E quando i bisogni azzerano le passioni, le priorità si capovolgono ed anche i pochi sogni, quelli più sciocchi (che mai lo sono per l’autore) soccombono o vengono archiviati nel tentativo di colmare le impellenze. Di questi giorni è l’uscita del film di Veronesi che racconta i sogni infranti di una generazione in “Non è un paese per giovani”, storia di due ragazzi fuggiti all’estero per cercare i propri sogni, con passioni irrealizzate in Italia e soffocate da un lavoro inadeguato ma necessario. Il racconto di un esodo di anime nato dall’esperienza radiofonica del regista che ha tradotto il malessere di giovani ascoltatori sparsi per il mondo non per fare esperienza ma perchè “espulsi” dal Paese. Può essere che solo Pietro e i suoi alberi ( e spero molti altri giovani di cui ignoriamo il percorso) siano ancora mossi da una passione? E’ possibile mai che non ci siano passioni da trasmettere e sogni da costruire? Davvero il nostro Paese ha perso l’anima e rincorre solo finte aspirazioni per saziare il quotidiano? Io non vorrei e non voglio crederci. Voglio invece sperare che la storia di Pietro diventi la prova che qualsiasi passione, o vissuta come tale o trasformata in lavoro può rappresentare una occasione nonostante le difficoltà della nostra terra. Voglio credere che sia sempre la passione a trascinare un sogno, una idea, un viaggio, un progetto…e che Pietro scrivendo Il nostro mestiere è curare gli alberi. Il nostro sogno è salvare il mondo…un albero alla volta…abbia sempre i palmi delle mani del colore della loro corteccia.
DI TERESA LETTIERI IL 24/03/2017