IL CORAGGIO DI RIMETTERSI IN PIEDI
IL CORAGGIO DI RIMETTERSI IN PIEDI
La vincitrice “morale” di Sanremo è stata di certo la Mannoia con il suo inno alla vita “nonostante tutto”. In realtà, ha vinto una scimmia con “l’evoluzione inciampa”. Ma quale evoluzione? Quella degli internettologi e dei selfisti anonimi? Due canzoni che danno due letture dello stesso sistema sociale. Non due letture diverse, ma due vision che coabitano in perfetto equilibrio fino a che non arriva qualcosa che fa pendere la bilancia da una parte, forse la peggiore. Due suicidi in una settimana. Due persone che hanno preferito “non tenersela stretta”…la vita. Un trentenne che lascia una lettera contro questa società che non consente di vivere dignitosamente perché non crea opportunità se non per pochi privilegiati ed un sedicenne, mentre perquisiscono la sua stanza in cerca di droga. Dietro le quinte, due famiglie. Una che denuncia lo Stato, lo incrimina come mandante ed esecutore di un delitto, quello del ragazzo stanco di vivere, di ricevere pacche sulle spalle, di sentirsi rifiutato. L’altra che ringrazia lo Stato, in particolare la Guardia di Finanza, per averla aiutata in un percorso senza uscita dopo averle provate tutte con un figlio che utilizzava droghe leggere. Due paradossi? No. Affatto. Due modi diversi di reagire rispetto ad una disgrazia, due modi di vivere una tragedia trovando giustificazioni o motivazioni,chi all’interno del proprio nucleo familiare, chi fuori del proprio nido, della propria zona di comfort (se la famiglia fosse tale, ma comincio a dubitarne anche io). In comune, il dolore. Un dolore devastante che chi perde un figlio in questo modo non lenirà mai, se mai fosse possibile. Perché dietro quella morte, che è un suicidio, ci sono mille domande che pur volendo trovare un capro espiatorio in altro ti sbattono ogni attimo della tua giornata a rosicarti. Dove ho sbagliato? Ho dato troppo, ho dato poco, ho fatto molto, non ho fatto a sufficienza. E il refrain continua, ininterrottamente. Poi trovi una via di fuga, “ma questa è una società di merda”, “ non si capisce più niente” , “io cosa potevo fare più di quello che ho fatto”, “sono state le compagnie”, “quella professoressa me l’ha rovinato”….ma il risultato è sempre uguale. Alla fine di quella via di fuga ti schianti. Un dato è certo, però. La fragilità muove ad un gesto del genere, eppure ci vuole coraggio. Coraggio nel mettere fine a se stessi in un momento di infinità fragilità che tocca il suo punto di massima nella morte. E’ un ossimoro. Una coraggiosa fragilità. Ma è in fondo la nostra vita. Quanto si è responsabili nella costruzione della struttura emozionale dei figli? Quella “impalcatura” alla quale, gradualmente e con fatica si cerca di dare forma e consistenza affinché nulla e nessuno sia in grado di abbatterla qualsiasi cosa accada, o perlomeno di resistere o meglio “resiliare”? Forse, quanto non conta, probabilmente conta farlo. Mia madre mi dice sempre “dire sempre si è come dire sempre no, non serve a nulla”. E quello di assecondare o meno i figli è uno degli aspetti, non l’unico. Ma se pensiamo al processo evolutivo di un bambino, in effetti, dire si o no è la prima operazione, le “fondamenta” sulle quali si comincia. Il distinguo tra cosa si può fare e cosa non si può fare e soprattutto perché, traccia tutte le altre strade, a partire dal rispetto verso sé stessi e continuando con la libertà, l’amore……..E’ un cammino lungo, duro, difficile, complicato perché con il tempo di aggiungono altre figure, come è giusto che sia, e tutto diventa più complesso. Gli amichetti diventano amici, i maestri si trasformano in professori, le conoscenze in amici e/o amori, insomma si cresce e cominciano le prime prove. Ora se quel SI e quel NO hanno funzionato, almeno i meccanismi di protezione e reazione agli accadimenti cominciano a dare segnali. Si comincia a testare il proprio sé rispetto al sé e rispetto all’altro, si cominciano a prendere le prime “sberle”, le prime “cadute” e ci si rialza, si comincia a comprendere il valore di un pensiero e ci si confronta, non si prevarica o se lo si fa trovi pure chi lo esercita più di te il suo egoismo, la sua supponenza e fai i conti con l’altro che c’è al di fuori di te. E’ palese, che il mio incipit a partire da un semplice esempio abbracci quella infinito “groviglio” di roba che rimanda al cervello e al cuore e che nel tempo segna il cammino di ognuno. E indica l’”antifragile” , come le scritte sui cartoni quando trasportiamo cose delicate, perché in quei cartoni c’è la nostra anima che si sposta di continuo senza traslochi programmati, che incontra altre anime e vive di queste. E se la nostra anima diventa “antifragile” nonostante tutto, nonostante i “le farò sapere”, nonostante la vergogna per aver commesso una sciocchezza, credo che “per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta” …la vita……Forza, scimmia, rialzati! NAMASTE’!
DI TERESA LETTIERI IL 19/02/2017