
E’ QUI LA FESTA?
E’ QUI LA FESTA?
E’ qui la festa?
Che siano immigrati, che siano nomadi, che siano girovaghi, i bambini di queste immense carovane di genti, che travalicano terre e mari in cerca di speranza, non inseguono illusioni o sogni. Seguono semplicemente, senza aspettative, se non quelle che narrano i genitori o perfetti sconosciuti. Due bambini, due storie, tra gli infiniti racconti di fughe da paesi verso paesi, da genti verso genti, da guerre verso… altre guerre. Perché tutti i bambini senza sogni ne possano trovare almeno uno, almeno una volta!
Quando si va ad una festa si indossa l’abito più bello, il più elegante. Ci si immagina nelle foto, con gli amici, per poi rivedersi, ridere di sé, per vedere se si era troppo belli, troppo simpatici o troppo… altro. Ci si scatta un selfie, e per quello bisogna essere all’altezza, per raccogliere like da sconosciuti e non. Per ricordare a distanza di tempo. Quando le feste sono dedicate ai bambini, tutto diventa molto più entusiasmante: colori, schiamazzi, festoni anticipano già quello che sarà. E i bambini di questo secolo non hanno bisogno di scegliersi la mise, hanno tutto perfettamente sotto controllo sin da piccolissimi, dagli abbinamenti alle nuance da accostare, ed è inutile qualsiasi consiglio sulla praticità per giocare o sull’acconciatura più consona. Per feste da protagonisti, tuttavia, il compito si fa più arduo ed il consiglio della mamma spesso è indispensabile.
Sarà stato così per il bambino del Congo, con la sua giacca ed il suo papillon, vestito di un sogno, quello di sua madre che gli ha raccontato di una festa lontana dalla sua casa dove l’aspettavano come “special guest”. Un sogno fatto di libertà, di riscatto, di emancipazione, di vita priva di stenti, ma anche intriso di dolore e forse di violenza. In realtà, lui ha solo indossato il suo abitino desideroso di partecipare ad una festa, del resto a 4 anni puoi solo pensare di risate, di giochi, di amici, di corse e a nient’altro. Chissà quanta cura avrà dedicato alla sua cravattina perché arrivasse in linea con il suo sogno; chissà quanta attenzione alla sua giacca perché non fosse spiegazzata al suo arrivo; chissà se ha dormito in piedi vicino alla sua mamma, abbandonando la testa ogni tanto come è normale per un piccino durante un viaggio così lungo, semmai scosso dal monito ad aver pazienza, perchè ..”manca poco all’America”. Su un barcone, dalla Libia, è già una festa per un bambino che non ha mai lasciato il suo villaggio in cerca d’altro. L’ho pensato tanto, tutta la notte, dal momento in cui ho visto la foto in rete mentre gustava il suo lecca-lecca. Ed ho pensato a quali sogni può avere in comune con i nostri bambini che vivono una dimensione diversa dalla sua. Una dimensione, tuttavia, dove la libertà non è contemplata, è un diritto di nascita come dovrebbe essere per tutti i bambini, che giochino con il terriccio dei loro villaggi o con la Playstation di ultima generazione.
Il bambino del Congo non sa che difficilmente sarà libero di diventare un adolescente, un uomo ed un vecchio …libero in un paese di guerra. Lo sa bene sua madre che ha pensato di vestirlo di tutto punto come si fa nelle grandi occasioni per condurlo verso la libertà. Lui non ha questi desideri, perché a quattro anni sei libero come quando sei nato e vivi libero mentre inconsapevolmente ti incatenano ogni giorno togliendoti l’aria, costringendoti alla fuga se scampi al massacro. La madre del piccolo ha osato, ignorando che in quel mare profondo potevano esserci le stesse possibilità di vivere quanto di lasciarci la pelle. Come ha osato la famiglia di Aylan, qualche tempo fa, sbarcando sulle coste siciliane senza poter partecipare alla festa che probabilmente era stata promessa anche a quel bambino. Lui non era vestito con la giacca ed il cravattino, aveva una maglietta rossa, un calzoncino blu e le scarpe allacciate quando è stato ritrovato riverso sulla spiaggia dell’isola. Forse non era una “special guest”, ma un semplice invitato, con gli stessi desideri di felicità del congolese. Forse anche Aylan è partito con il sogno di libertà dei suoi genitori, sebbene gli importasse solo di poter giocare con i suoi compagni. Ad entrambi, che fossero vestiti di rosso o di blu, con giacca o t-shirt, con il jeans o la riga sui pantaloni, poco sarebbe importato.
Il loro sogno era partecipare a quella festa, Aylan non c’è riuscito, il piccolo africano sta aspettando di arrivarci con la sua farfalla di stoffa, sperando che voli via portandolo con sé!
DI TERESA LETTIERI IL 23/03/2017