
E L’HANNO CHIAMATA FORTUNA!!!!
E L’HANNO CHIAMATA FORTUNA!!!!
Nessuna età dovrebbe conoscere la violenza. Che si tratti di violenza fisica o psicologica, nessun individuo dovrebbe soffrire l’incontro con chi oltraggia l’altro. Se poi parliamo di bambini, i contorni del dolore svaniscono, ma non perché scompaiono per un meccanismo di archiviazione della memoria. Tutt’altro. Svaniscono perché il dolore è talmente forte che i suoi contorni vengono travalicati e quel senso di malessere allarga i suoi confini verso l’infinito della propria esistenza. Ho sempre creduto che situazioni del genere non trovino pace con la morte tanto sono devastanti per chi le vive. Rimangono tatuate anche sulle ossa, l’odore dell’orrore si percepisce anche nella polvere che rimane. Penso molto a quella bambina, Fortuna, caduta “casualmente” dall’ottavo piano del palazzo in cui viveva mentre si scopre che dopo una lunga violenza è stata spinta dal quel terrazzo dal suo aguzzino. Immagino cosa avrà pensato in quei lunghissimi secondi che l’hanno separata dal selciato dove è finita, se ha desiderato morire per mettere fine alla sua sofferenza o si è attaccata alla vita senza riuscirci. Io credo che lei volesse continuare la sua vita di bambina, ogni bambino lo vuole, tra i suoi giochi, i suoi amichetti, le maestre, la scuola, i suoi genitori. L’unica cosa che non avrebbe voluto più, di certo, era guardare gli occhi di chi la perseguitava mentre la toccavano ancor prima delle mani, ascoltare il suo respiro, preludio di una voce senza parole, osservarne l’assenza dopo averla oltraggiata per poi ricomparire nei suoi disegni. Non capisco se mi scuote più l ‘orrore per ciò che è accaduto a quella bambina o l’orrore per lui. Vorrei capire cosa si muove nella mente di queste persone, che siano uomini o donne, nel momento in cui si avvicinano alla loro vittima di turno. Si. Perché sono seriali nei pensieri, fatti di violenza, di atrocità, di deliri verso se stessi che non riescono, tanto sono crudeli e vigliacchi, a direzionare verso se stessi ma contro piccole anime che nulla possono verso di loro. E contro le quali si schiera anche l’omertà degli adulti, abituati a tacere, carnefici quanto lui e non vittime di un sistema. Non si può essere solidali alla violenza in alcun modo, tacendola. Si è sempre e solo complici quando si omette un gesto, una testimonianza contro un atto di crudeltà che si conosce e si tiene per sé. In quel momento la medesima violenza si usa contro se stessi ma nel contempo si sostiene quella alla quale si assiste, senza giustificazioni per alcuno. Non mi fa orrore solo lui, mi fanno orrore tutti coloro che sapevano, tutti quelli che hanno taciuto, tutti quelli che si sono girati al richiamo di una bambina che in ogni modo ha cercato di trasmettere il suo dolore. L’unica che nel suo silenzio ha gridato pietà per lei e per gli altri bambini, l’ unica che merita il silenzio di tutti noi, il silenzio della vergogna. Lo stesso che va portato per le altre piccole vittime, che prima di lei hanno subìto la stessa sorte e probabilmente le stesse violenze, e per quei bambini che al falso silenzio degli adulti si sono ribellati raccontando la verità. Hanno scardinato le credenze di un luogo sordo e purulento dove il degrado è l’etichetta affissa sulle porte e dove ogni giorno, ogni singolo individuo, affacciandosi sul cortile dovrà scontrarsi con il dolore di quella bambina ed una vergogna non più silente. Il processo, avviato in questi giorni, non ci risparmierà ulteriori crudeltà, un nuovo spaccato della vicenda dove altre vittime e carnefici si alterneranno e spesso coincideranno per il semplice fatto che in drammi del genere credo sia impossibile identificare chi sia l’uno o l’altro. Certo vi è una vittima, una bambina oltraggiata più volte e “finita,ma siamo veramente sicuri che sia l’unica, come unico è l’autore di questa tragedia? Il degrado e la desolazione di un atto di violenza del genere non può non nascondere retroscena (forse) ancora più drammatici dell’atto in sé, costruiti sulla ferocia e l’efferatezza di chi comunque faceva parte della sua vita. Non c’è giudizio in questa considerazione, ma la semplice constatazione che a sei anni chi si prende cura di te non può non comprendere da un dettaglio, da un segno, da una espressione quanta tristezza, quanto disagio possa colmare gli occhi di chi viene ripetutamente violentato. Può essere la saturazione alla violenza, all’indifferenza verso l’altro così spinta da non consentire le più semplici percezioni di dolore? Oppure è omertà? Io non escluderei né l’una, tantomeno l’altra ipotesi. Quanta omertà riscontriamo nel nostro quotidiano rispetto ai fatti più banali quanto ai più seri per motivi pari alla medesima importanza degli accadimenti? Tanta. E quanta indifferenza permea la nostra vita senza che a volte ce ne rendiamo conto, quasi fosse una prassi comune, un metodo diventato offesa e difesa verso l’altro? Tanta. Forse le due cose viaggiano addirittura insieme di recente. “Coprire”una atrocità, per di più a carico di un minore, sottintende una serie di mancanze a livello intellettivo ed emotivo che non rendono degno l’ uomo di essere definito talee lo escludono da ogni comparazione possibile con qualunque altro essere vivente. Nè il disagio sociale, nè la povertà,o qualsiasi altra invenzione contemporanea elaborata dalla moderna psicologia,può giustificare quanta inedia emotiva si sia insediata nel nostro vivere comune ed abbia alimentato l’affermazione del sé a scapito di tutto ciò che ci circonda, come se vivessimo imprigionati in un “io” che teme la sofferenza, la gioia, le emozioni e crede di proteggersi nella custodia del sè. Un “io” condannato per questo alla solitudine e autore di un isolamento foriero di angosce e sofferenze. Un “io” perennemente in conflitto, che evita il confronto e la costruzione, che tesse relazioni fittizie e fragili. Un “io” che ignora la sua stessa essenza e che si esprime con una sostanza marcia e logorata dal pressapochismo e qualunquismo dei nostri tempi, quello che può portarlo anche ad uccidere senza pietà e, talvolta, anche il suo stesso sangue!
DI TERESA LETTIERI IL 03/12/2016