DOVE I BAMBINI GIOCANO PER STRADA
DOVE I BAMBINI GIOCANO PER STRADA
Quando si arriva a Sfruz, in Trentino nella Val di Non, un cartello singolare esorta a mantenersi vigili: “Attenzione, rallentare. In questo paese i bambini ancora giocano per strada”. Una giovane assessora con due figli, piacevolmente colpita da questa frase trovata su Internet, ha deciso di replicarla all’ingresso del suo paese nell’eventualità fosse stata eletta alle elezioni amministrative. E così è stato, in un comune di 334 abitanti, oltre sessanta minorenni, più di quaranta con meno di undici anni e sei culle solo nel 2016. Un semplice rallentamento della velocità intimato da un cartello stradale non avrebbe reso alla stessa maniera e secondo l’assessora bisognava arrivare al cuore. Caspita se c’è riuscita! Personalmente, a parte i gemellaggi e le denuclearizzazioni che accolgono i visitatori, credo che un segnale di questo tipo induca a pensare e a ricordare. Pensare che siamo un Paese che cresce poco dal punto di vista della natalità e dove le fasce di età che si rimpinguano considerevolmente sono quelle over 60 che, ovviamente, con tutto il rispetto, non depongono proprio bene se si volessero analizzare le sorti di una nazione dal punto di vista economico-sociale. Un paese che tende all’invecchiamento e non al ricambio generazionale, ovviamente, genera quel tanto di perplessità che un governo strategico dovrebbe tempestivamente convertire in politiche di sostegno alla famiglia, ai giovani e al lavoro. Ma tutto ciò continuiamo a raccontarcelo come se parlassimo di un altro paese. La presenza di bambini nei nostri centri, oltre ad essere un segnale di speranza, tuttavia, richiama anche alla necessità, in un’epoca di tablet e smartphone che anche i bambini trentini utilizzano, intendiamoci, di consentire un adeguato contatto con il mondo esterno attraverso luoghi nei quali praticare ciò che tutti noi, fino alle generazioni degli anni ottanta(almeno spero), abbiamo imparato.

E’ vero che in passato le sollecitazioni provenienti dalla tecnologia erano veramente ridotte allo zero, ma è pur vero che il bisogno di socializzare in mezzo alla strada risultava indispensabile e la televisione non era utilizzata come una babysitter a tempo pieno. Dopo i compiti, almeno per i bambini in età scolare, si scendeva sotto il portone, dopo essersi accordati “tramite balconi” e si inventavano i giochi più singolari. E’ anche vero che la maggior parte delle abitazioni disponevano di cortili a servizio del palazzo, una logica che è andata perduta o sostituita da ampi spiazzi asfaltati o di rado attrezzati per far posto a collettività macro.

Ad avercele! E ad averceli i bambini. E laddove ci fossero ancora in frotte significative, ad averceli amministratori che in fase di pianificazione invece di pensare a parcheggi e a centri direzionali destinano dei luoghi alle attività dei ragazzini. Di recente, dopo una fase di significativa speculazione edilizia che ha destinato al cemento gran parte della progettazione rappresentata da costruzioni di dieci-undici piani dove il porticato a livello strada ha rappresentato l’unico spazio disponibile per le broncopolmoniti più che per i giochi, si è cercato di ritornare a condomini più contenuti e provvisti di uno spazio esterno pro benessere. Ma parliamo di edilizia residenziale e non popolare, quindi destinata ad una fascia di popolazione medio-alta. Ma i bambini, per fortuna, sono ovunque e laddove il senso di aggregazione supera qualsiasi logica programmata ci si ritrova anche a giocare con un pallone nella piazza della città o nel larghetto del palazzo di città sfidando i passanti e le attività commerciali usate come birilli. I parchi che potrebbero soddisfare questa necessità non sono strutturati con criteri che consentano lo svolgimento di attività ludiche di qualsiasi tipo e spesso non sufficientemente interconnessi con i mezzi di trasporto urbani. Ritorna quindi nelle agende comunali un tema tanto importante quanto indispensabile che potrebbe migliore la prosperità sociale della popolazione, e non solo quella dagli zero ai dieci anni, ma anche le successive. Puntare attraverso il gioco dei bambini ad un recupero dell’aggregazione e della socialità trasferisce benessere alla famiglia, alla scuola e alla società in genere. Il gioco è uno dei metodi educativi più efficaci nella psicologia di un bambino i cui effetti benefici si trasferiscono nelle successive fasi evolutive sviluppando il confronto, la competizione, l’aggregazione, l’autostima e molto altro ancora. Se poi si ha la possibilità di poterlo fare insieme ad altri e in luoghi adatti l’amplificazione delle positività non può che essere evidente. Pallone, nascondino, castello, bandierina, palla avvelenata e prigioniera, le biglie, le cinque pietre, le tortorelle…aggiungeteci i livelli ed un punteggio! Tingola per me e per tutti!
DI TERESA LETTIERI IL 14/04/2017