UN’ESTATE DA FINE DEL MONDO
Se cercassi nella sequenza di parole, estate, viaggi, vacanze, caldo, mare, divertimento la parola chiave che possa fare sintesi per affinità, come accade in quei giochi televisivi a premi, credo che l’unica che mi verrebbe in mente sia EMERGENZA. Non solo risuona spontaneamente, ma lampeggia ininterrottamente in cerca di un qualcuno che possa bloccare il suono acuto dell’alert. Non credo appartenga solo a me questa percezione di pericolo imminente, ritengo, tuttavia, che come tutti gli accadimenti che cominciano a sedimentare, ci si abitui senza alcuna opposizione reale e concreta, perché opporsi significa diventare reattivi o pro-attivi, quindi faticoso. Emergenza siccità: se ne parlava già all’inizio della stagione estiva come pericolo imminente e ora ci siamo completamente, vuoi per un clima il cui cambiamento non lascia intravedere nulla di buono per il prossimo futuro, vuoi per l’incapacità e l’incomprensibile strategia (è una ovvia provocazione) dell’uomo di non ottemperare al contenimento delle perdite, problema tutt’altro che secondario, e sottrarsi ad una politica di gestione di una risorsa niente affatto illimitata. Forse il mantra del “qui e ora” è stato universalizzato senza deroghe. Emergenza incendi: oltre settantamila ettari andati in fumo, come in fumo è andata la speranza riposta in un patrimonio fatto non solo di alberi, ma di biodiversità animale e vegetale che difficilmente può riaffermarsi con una semplice piantumazione di essenze boschive, se questo è uno dei possibili obiettivi di un piano a dir poco criminale. Un Paese che nella sua distruzione intravede la possibilità di generare occupazione o opportunità, è un paese che ha perso la rotta completamente e qualsiasi possibilità di poterla recuperare. Emergenza terrorismo: con pause dettate dalla mente diabolica di fanatici che, dietro un vessillo tutt’altro che religioso, seminano il terrore muovendosi su di un territorio vasto e imprevedibile (Spagna e Finlandia, ad esempio), sembra che si continui ad annunciare un pacchetto di misure contro organizzazioni per niente strutturate, a detta dei più noti studiosi di strategie terroristiche, ma capaci di destabilizzare intere comunità uccidendo e incutendo terrore, nonostante l’occidentalis karma sia diventato “io non ho paura” e le marce della pace siano un modo per trascorrere diversamente un pomeriggio. Il pacchetto, nel frattempo, è diventato un paccotto. Emergenza omicidi: si uccide per nulla, senza un motivo che, pur reale non potrebbe giustificare alcun atto criminoso, si uccide senza pietà. Si uccide per una spinta involontaria, per un parcheggio mancato, per un tamponamento che ostruisce lo scorrere del traffico e semplicemente perché non si sopporta un’offesa. Ma soprattutto, si assiste agli omicidi in diretta senza muoversi dalla posizione conquistata tra migliaia di ragazzi in una delle tante discoteche in cui si ci dovrebbe divertire e che diventano per pochi minuti i set cinematografici di omicidi reali. Forse si gira appena la testa per rendersi conto degli schiamazzi e si continua a sorseggiare il mojito ristoratore di una serata esageratamente calda, in molti casi si riprende anche la scena per poterla poi postare o addirittura inviare su altri telefonini per testimoniare la propria presenza. Una sorta di astrazione dalla realtà, non necessariamente legata all’alterazione artificiosa del proprio stato, che mantiene fuori da qualsiasi emozione, una protezione dagli accadimenti o semplice vigliaccheria. Probabilmente sono tutte queste cose, ognuna meritevole di attenzione, lasciata purtroppo ai commenti televisivi di trasmissioni improvvisate o straordinarie che riuniscono il gotha della psicologia senza arrivare ad un dunque, ai nostri commenti spesso al limite dell’atrocità ancora più dura del fatto in sé, al nostro dimenticatoio, utile scatola in cui riporre tutto l’occorrente quando non serve più. Se ci penso bene, la parola emergenza risponde solo ad una sensazione scatenata dalla successione degli accadimenti recenti, ciò che univocamente e concretamente restituisce coerenza alla successione di termini, di qualsiasi cosa si tratti, è la parola uomo, comune denominatore. Chissà se chi nei secoli si è dannato per munire l’uomo di quegli strumenti che gli avrebbero facilitato l’esistenza ha mai pensato che non si sarebbe limitato all’utilizzo per i quali erano stati destinati. Chissà se ha mai messo in conto il costo sociale del progresso, l’uso indiscriminato del potere e la graduale scomparsa dell’umanità verso l’altro. E’ possibile che questi pensieri siano stati la linfa di una maggiore specializzazione di metodi e mezzi, in fondo, ogni uomo che genera qualcosa, scientificamente e tecnicamente, a vantaggio della propria evoluzione è alimentato dal sentimento dell’affermazione personale, del lustro e del potere senza che questi aspetti siano necessariamente negativi per sé e per la collettività. E’ la gestione di queste velleità e la coscienza personale nonché sociale a rappresentare la linea di confine tra cosa è giusto e cosa è sbagliato. Chissà se non avessimo oltrepassato quella linea e fossimo rimasti nell’Uomo Vitruviano di Leonardo…come sarebbe andata!
DI TERESA LETTIERI IL 21/08/2017
