LO SPECCHIO SPORCO DELL’ITALIA SPORTIVA
DI TERESA LETTIERI IL 16/11/2017
La partita di calcio Italia-Svezia disputata per la qualificazione ai mondiali della prossima estate è stata vissuta con l’ansia che accompagna tutti gli avvenimenti sportivi di rilievo. Innanzitutto perché il calcio è obiettivamente il primo sport seguito nel nostro Paese per cui riesce a catturare l’attenzione di gran parte della popolazione senza distinzioni di genere ed età, e poi perché l’avvicinarsi dei tornei europei e mondiali acuisce la passione, spesso più virtuale che reale se si osserva come sia mutato il panorama calcistico italiano negli ultimi vent’anni. E’ bastato poco, tuttavia, a tramutare i rumors generati due giorni prima dalla partita di andata, finita con un risultato che metteva in forse la presenza degli azzurri alla kermesse mondiale, in vere e proprie ingiurie tra il comico e il tragico dopo l’eliminazione definitiva. Oltre alla bagarre che in genere accompagna lo scorrere dei 90 minuti, intrisi di un tifo fitto di riferimenti più o meno pungenti che nemmeno la nazionale riesce a quietare, il disappunto ha scavalcato i confini puramente tecnici passando dal sistema calcio, la FIGC, i suoi rappresentanti, l’allenatore e la squadra al sistema Italia. Le comparazioni con quella che è la vita pubblica della nazione non sono mancate, amplificate e divulgate dai social sempre pronti a cogliere le sfumature, quando va bene, se non addirittura sfoghi piuttosto accesi. L’incapacità di gestire una squadra, quella di non organizzare un vivaio adeguato a rimpinguare le serie maggiori e a sostituire i giocatori ormai a fine carriera, gli stipendi generosi, il lusso ed il benessere ostentato nell’ambiente calcistico hanno regalato terreno fertile agli italiani delusi dalla beffa, ai soliti comizianti che ne hanno fatto l’uso delle buone occasioni risultando patetici e retorici con il sermone condito di politica, costume e società, ai veri appassionati inconsolabili sostenitori affatto affrancati dagli indimenticabili traguardi raggiunti nell’82 come nel 2006, tra i più recenti. In realtà il calcio ha già da tempo mutato profondamente lo scenario al quale ci aveva abituato, e che parlava di sola passione e ardore per il gioco, sostituito dai loschi affari dello scandalo di calciopoli, fatto di violazione delle norme di lealtà, correttezza e probità sportiva fino all’illecito sportivo vero e proprio. Tangentopoli e i suoi effetti, da buone pratiche, in fondo avevano lasciato un segno indelebile da replicare; perché non testarne l’efficacia anche in settori alternativi! Da allora e ripetutamente il calcio non è mai uscito da quella condizione di sporcizia che ha aleggiato su ogni campionato, in ogni stagione sportiva. Soprattutto a fronte di una giustizia che difficilmente riesce a fare il suo corso, che difficilmente punisce perché invischiata anch’essa in dribbling altrettanto improbabili, che raramente riesce a convincere sul suo valore. Che gli italiani, dopo la beffa della mancata qualificazione, si siano addirittura lanciati in parallelismi sull’incompetenza, l’inefficienza, l’incapacità del sistema Italia, ha dimostrato quanto un argomento popolare come il calcio, un mancato accesso ad una gara di respiro mondiale spinga a ribellarsi con una risonanza fuori dal comune seppure teorica relegando la gravità degli accadimenti occorsi sinora ad una mera appendice sul livello di dissolutezza, di degrado sociale oltre che economico, di spoliticizzazione della vita pubblica affidata ad una classe dirigente non adeguatamente preparata in primis culturalmente, di disumanità diffusa e dilagante. Non è bastato sciogliere i comuni per comportamento mafioso, privare i cittadini dei servizi di prima necessità, di razionare risorse per veicolarle verso gli interessi di pochi, di consentire pratiche incivili, di liberalizzare comportamenti e metodi che nulla dividono con una equa e sana gestione della cosa pubblica. E’ bastato palpare una delusione da gioco, quei novanta minuti che incollano gli italiani allo schermo o nei campi sportivi per risaltare le mancanze di un paese completamente andato. Quanto durerà questa immagine riflessa allo specchio che tutti hanno sottolineato non è prevedibile. Probabilmente è già un lontano ricordo. Certo è che la partecipazione a tutto ciò che fa del nostro quotidiano un indecente percorso verso un traguardo ancora più infame del cammino, allo stato attuale e tutt’ora più viva che mai, critica nei confronti degli altri e priva di qualsiasi reale segnale di svolta. E questo perché mentre è semplice alzare la voce, risentirsi, inveire contro gli undici che inseguono una palla senza passione e impegno dietro abbondante compenso, è difficile che ognuno di noi, smessi gli abiti del tifoso si guardi a quel famoso specchio sputandosi finalmente in faccia per ciò che sta contribuendo a fare per il suo paese. Ma si sa. Lo specchio basta pulirlo con la manica della camicia e tutto torna come prima.
